Per fare conoscere gli ambiti di lavoro di Aeris Cooperativa Sociale partiamo dai suoi lavoratori, collaboratori e volontari. Conosciamo le persone. Cominciamo da Paola Orso e dai progetti S-FActory e Rete Volontaria. Paola è in Aeris da ottobre 2001, quindi da quasi 20 anni. Nel tempo si è occupata di varie tematiche, oggi in particolare segue i progetti di autonomia rivolti alla disabilità adulta e di adolescenti. È psicologa, coordinatrice del Centro di psicologia In-Tessere, ed è membro dell’attuale Consiglio di Amministrazione di Aeris.
Entriamo nel dettaglio dei servizi: quali sono i progetti per l’autonomia promossi da Aeris?
Sono due, in particolare, i servizi attivi: S-FActory e Rete Volontaria.
Il primo è uno SFA, Servizio di Formazione per l’Autonomia di persone disabili. Le persone che utilizzano il servizio hanno un margine di autonomia discreto ed età compresa tra 16 e 35 anni, limite che scompare se la disabilità è provocata da una malattia o un evento traumatico, successivi alla nascita. Lo SFA di Aeris si chiama “S-FActory – La fabbrica delle abilità sociali”, è aperto da 3 anni, ha sede nel Comune di Sulbiate (MB) ed è regolamentato da Regione Lombardia. Si lavora principalmente sullo sviluppo autonomia, in particolare sulle abilità sociali, che noi riteniamo fondamentali.
Il secondo, Rete Volontaria, è un progetto attivo da 12 anni. Propone attività ricreative e del tempo libero per persone adulte con disabilità e si avvale dell’apporto di volontari. Per capire meglio: ci sono figure di coordinamento per pensare e organizzare le varie attività, che poi vengono portate avanti grazie al contributo di soci volontari della cooperativa.
S-FActory e Rete Volontaria si affiancano ad altre esperienze attive sul territorio. Quali peculiarità hanno questi due servizi?
Le peculiarità sono in linea con le tante altre cose che Aeris porta avanti: in particolare il forte aspetto dinamico e una certa flessibilità nel rispondere ai bisogni, anche in modo creativo.
S-FActory è nato dall’idea di uscire e di muoversi sul territorio per compiere esperienze di vita autentiche. Per esempio, le persone possono lavorare in un vero orto e quello che si raccoglie viene prima cucinato poi diviso tra gli stessi coltivatori ma anche distribuito in cooperativa. Un altro servizio è la consegna della spesa per conto di un esercizio commerciale. O ancora, S-FActory tiene aggiornate le bacheche del Comune di Sulbiate e collabora con la biblioteca di Arcore per organizzare e archiviare il materiale. Infine, è attivo un laboratorio di cucina. Ovviamente tutto questo avveniva prima dell’era Covid-19. Il luogo di ritrovo di S-FActory non è solo Sulbiate ma anche Piazza Marconi a Vimercate, così da potere fare arrivare in autonomia tramite i pullman gli utenti, che poi compiono l’ultimo tratto fino a Sulbiate, poco servito dai mezzi, con gli educatori.
Per quanto riguarda Rete volontaria, i valori aggiunti sono la creatività e il saper dare risposta ai bisogni. Il progetto è nato in rete con un’associazione di genitori di persone disabili per dare un riscontro a quelli che sono i desideri e le passioni nel tempo libero delle persone con disabilità, che spesso hanno la giornata riempita di attività lavorative o terapeutiche ma manca loro il tempo libero. Si è lavorato su questo, partendo da piccoli gruppi per uscite come andare al cinema, mangiare la pizza o il sushi (che va molto), andare a un concerto o al bar a prendere un caffé, ma anche a fare shopping: ovvero, la “normalità”, partendo da interessi delle singole persone che diventano poi uscite.
Come vivono i genitori degli utenti dei servizi le attività e le uscite proposte?
Ci vuole tempo per costruire la fiducia dei genitori, perché loro di solito si occupano tantissimo dei loro figli disabili, e quindi la preoccupazione può essere superiore a quella del genitore medio. Per esempio quando si è andati al weekend al lago con la gestione in autonomia di un appartamento per due giorni cucinando e uscendo la sera i più dinamici, alcuni dei loro genitori erano timorosi all’inizio, poi si è costruita la fiducia. È cruciale la figura del coordinatore, che tiene contatto di continuo con i genitori per avere una chiara relazione. È molto importante il fatto che ci sia una regia professionale che tuteli volontariato e famiglia, ponendo paletti e sicurezze. A conti fatti risulta essere un servizio molto apprezzato perché da occasioni di “normalità”.
Con l’avvento del coronavirus Covid-19 stiamo vivendo tempi diversi ed è tutto cambiato: con che modalità si svolgono i servizi in questa fase?
Anche noi abbiamo dovuto chiudere tutto in presenza, dall’oggi al domani. Tra l’altro venerdì 21 febbraio, alla vigilia del primo lockdown delle scuole qui in Lombardia, c’era una doppia serata di Rete Volontaria: l’uscita mensile – quella volta in sala giochi – della squadra di calcio, l’Ausonia Oreno, una squadra “special” con persone disabili seguite con uno specifico progetto con consulenza pedagogica, Ausonia Oreno, e in contemporanea l’uscita di altri ragazzi per vedere insieme a educatori e volontari uno spettacolo musicale con 300 persone. Sono state belle serate, dopodiché “è calato il sipario”, siamo rimasti disorientati ma la priorità fin da subito è stata quella di tenere i contatti con famiglie degli utenti.
Per S-FActory abbiamo rimodulato tutto a distanza, prima facendo chiamate whatsapp individuali, poi con un piccolo gruppo che si anima ogni pomeriggio: è stato chiamato “Gli SFAcciati”, un gioco di parole uscito vincitore dal voto dei ragazzi stessi sul nome migliore. I pensieri in libertà di questo gruppo vengono poi rilanciati in una frizzante rubrica di Young Radio (www.youngradio.it), una web radio piuttosto seguita. Ragazzi ed educatori, quindi, interagiscono tra loro anche con nuovi stimoli.
Ti occupi di psicologia: stai studiando come cambiano le nostre vite? Che impatto sta avendo il covid-19 per gli utenti dei progetti ma anche per gli altri, noi compresi?
È cambiata la vita di tutti, chiusi in casa con moltissimi vincoli e quasi nessuna possibilità di interazione concreta e fisica se non con quelle che vivono con noi. Per le persone con disabilità questa situazione è ancora peggiore, hanno perso quello che era ben costruito: ogni mattina facevano attività, anche tirocini, vengono quindi meno gli stimoli e i punti di riferimento. L’aspetto su cui si deve lavorare è quello di non fare sviluppare atteggiamenti di chiusura e regressione: capita ai bambini ma capita anche gli adulti di perdere gli stimoli. Parlando con un insegnante con cui collaboriamo per uno stage, ragionavamo sul fatto che il contesto attuale porti come unico stimolo quello del “vegetare”: è quasi un paradosso, e il rischio è di lasciarsi andare impigrirsi, sviluppare tristezza, e vengono a mancare tante cose, in primo luogo le relazione, che sono linfa vitale. Detto questo, cerchiamo invece di essere al loro fianco nei modi possibili per “essere vicini nella distanza”.
Quali nuove forme di relazione se ci saranno e quali priorità dobbiamo tenere a mente nell’immediato “dopo”, iniziato il 4 maggio, che si preannuncia lungo e lento ma comunque sarà “migliore” dei quasi due mesi in cui la paura ha prevalso? Possiamo cambiare in positivo alcuni nostri modi di fare?
Sono “domandone” che ci stiamo facendo in tanti. Dobbiamo imparare a saper stare nell’incertezza e a stare in relazione mantenendo una distanza. Anche per la riapertura dei servizi, che sarà graduale, abbiamo tante domande in mente ma è chiaro che dobbiamo abituarci. Si potrà tornare a stare in relazione ma distanza fisica e mascherine incideranno tanto sul nostro modo di relazionarci. Per esempio con le espressioni facciali coperte si perde l’importanza del non verbale, spesso ancora più fondamentale per le persone disabili. La mascherina protettiva, di cui avremo bisogno, è comunque una barriera, non si vedono le espressioni: dobbiamo essere espressivi con gli occhi, trovare altri modi per salutarci e stare in contatto relazionale. Sarà tutto più difficile, e ora si farà tutto in gruppi piccoli: per un po’ niente da fare per le feste di Rete Volontaria, quella di fine anno scolastico quella rock a novembre, e la cena solidale. Dobbiamo però essere bravi a trovare altri momenti significativi. Non sarà facile, così come non è facile pensare che non potremo subito riabbracciarci come tutti vorremmo. Abbiamo pensato “teniamo duro un pochino poi tornerà subito come prima” ma non sarà subito così. Trovare altri modi per starci vicini significa entrare in relazione profonda malgrado le barriere. Le regole risulteranno artificiali all’inizio e la paura che ci ha accompagnato ci rimarrà dentro, ma possiamo usarla per essere più prudenti: sono ottimista, sapremo trovare un equilibrio. Quello che sta accadendo ci può rimettere in gioco.
Ciò che accade ricorda altri tempi, dei nostri “nonni”, tempi che le persone sotto una certa età non hanno mai vissuto. Si è detto, giustamente, di non usare un linguaggio di guerra perché questa non è una guerra: invece per le relazioni si può usare un paragone con quel tempo?
Credo che un cambiamento stia succedendo, perché sta avvenendo anche su noi stessi, nelle nostre case, con chi collaboriamo a distanza: non diamo più per scontate tante cose anche piccole, che fino a poco fa erano certezze. Ora apprezzeremo meglio anche solo una passeggiata, un giro in bicicletta, vedere una persona da lontano per salutarsi non solo davanti a un video. Ci sembreranno cose stupende all’inizio, nel frattempo avremo “tagliato” cose superflue. Spero davvero che sia così.
Quali sono i rischi personali da evitare in questo ritorno alla socialità, fase 2?
I rischi possono essere la “paura degli altri” da una parte e l’eccessiva “leggerezza” dall’altra. Dobbiamo trovare un equilibro tra il chiudersi in sé senza entrare in relazione con gli altri per evitare il contagio e il fatto che la stanchezza mentale di essere chiusi dentro casa porti, una volta iniziata la “riapertura”, la fase 2, a far calare la tensione e ributtarci in mezzo agli altri mettendoci a rischio. Questo principio, se lo applichiamo anche alle persone con disabilità, avrà un punto centrale: comprendere insieme a loro quale sarà il punto d’incontro tra le diverse esigenze di ognuno di noi.
Siamo in chiusura di intervista: come entrare a far parte, come utenti (con le proprie famiglie) o come volontari o di S-FActory e Rete Volontaria?
Per S-FActory, essendo un servizio vero e proprio, le iscrizioni degli utenti passano attraverso l’assistente sociale del Comune di riferimento. Se una famiglia, anche dopo un confronto con la scuola, che sia un servizio interessante può chiedere comunque informazioni anche a noi all’email sfactory@coopaeris.it, comunque la cosa migliore è passare dall’assistente sociale, per capire il servizio giusto per la singola persona.
Essendo Rete Volontaria, invece, un progetto ad adesione libera, si può contattare direttamente all’email retevolontaria@coopaeris.it: per iscriversi alla Rete gli utenti devono essere maggiorenni e avere una certa autonomia negli spostamenti, perché i volontari non riescono a occuparsi delle necessità di movimento di tutti, in particolare chi è in carrozzina. All’inizio viene fatto un colloquio per conoscersi e capire se la proposta è idonea. L’unico costo nell’aderire a Rete Volontaria è il pagamento di una quota annuale che copre costi assicurativi.
Per chi fosse interessato a partecipare come volontario di Rete Volontaria la mail è la stessa, e tramite la pagina facebook – ricchissima di attività, proposte e contributi – si può iniziare ad avvicinarsi: una nuova volontaria è arrivata proprio in questo periodo, dopo avere visto un video. È possibile anche conoscere la Rete con forme più leggere di partecipazione con la campagna “Volontari per un giorno” che abbiamo lanciato due anni fa: una persona può provare a fare una sola uscita e vedere come si trova.