THE LOST DAUGHTER – MAGGIE GYLLENHAAL, 2022
Maggie Gyllenhaal arriva sul grande schermo, questa volta dietro la macchina da presa, con un film decisamente ambizioso ma che riesce a superare notevolmente le aspettative. Tratto dal romanzo di Elena Ferrante, “La figlia oscura” è una parabola dell’essere madri non portate per esserlo, una storia forse atipica che rispecchia la realtà più di quanto saremo mai in grado di ammettere. Un racconto sulla verità del mondo femminile che non siamo abituati a vedere perché continuamente celato.
Olivia Colman è Leda, una professoressa di letteratura italiana e comparata che decide di partire per una vacanza al mare da sola. Qui si imbatte in una famiglia molto chiassosa e viene catturata da Nina (Dakota Johnson) e la figlia Elena. La visione della famigliola porta la donna ad abbandonarsi ai ricordi: a quando ha dovuto affrontare per la prima volta la maternità, la paura, i timori e le scelte non convenzionali che ha compiuto nella sua vita come madre. Inevitabilmente riflette anche su quali siano state le conseguenze delle sue scelte per la sua famiglia e si ritrova così immersa in un viaggio nei meandri della sua mente, che la costringe ad affrontare il suo passato.
La Gyllenhaal ci fa entrare in un mondo al di sopra del quotidiano, incastrato in una dimensione fatta di mare, sabbia, urla di bambini, silenzi notturni, grilli. Un piccolo pezzo di mondo bloccato e staccato rispetto la realtà che prosegue imperterrita nelle città. Quello che accade solitamente durante le vacanze estive è proprio lo straniamento dalla realtà e la fuga in un posto “altro”. Quello che probabilmente vorrebbe fare Leda, che sfortunatamente non riesce a compiere questo passo verso la spensieratezza, ma si ingarbuglia sempre più nei suoi flashback, nei ricordi e nelle sensazioni altalenanti che prova. Il tutto tecnicamente è reso grazie alle inquadrature molto ravvicinate, soffocanti, che ci permettono di osservare in maniera quasi invadente quello che accade nella mente di Leda, così tanto ormai portata allo stremo delle sue forze. E’ evidente che sta cercando di liberarsi da qualcosa che però ormai è più forte di lei, è diventato lei e non se ne andrà mai più. Vorrebbe essere un faro di speranza, ma la condizione materna non ha fatto altro che sotterrarla sempre di più. La maternità diventa una condanna più che una benedizione come è sempre stata descritta, e lei è “una madre snaturata” perché non è all’altezza dello status quo. Lei è la Leda greca stuprata da Zeus cigno, condannata a un’esistenza che non le appartiene.
In un racconto che ha tratti surreali e grotteschi sull’orlo del thriller, viene dipinto l’egoismo comprensibile di una donna che non sa più chi è, che si sente una bambola ormai, come quella che torna in continuazione per tutto il film. Una marionetta in mano d’altri, che hanno deciso come dovesse muoversi, cosa dovesse fare. Viene preso uno dei temi più vicini al mondo delle donne e non si ha paura di farlo a pezzi, di mostrare anche e soprattutto questo lato comune a molte madri, che quindi non diventano l’eccezione, ma forse proprio la regola che bisogna iniziare a naturalizzare.